Scuola: il demone della progettazione
Scuola: il demone della progettazione
Il demone della progettazione
Ovvero: come l’Italia (non) si occupa della Scuola.
Bandiere e bandierine sono inutili e dannose; non lo improvviso io, lo dicono i fatti e la storia. Portare avanti dibattiti sterili senza alcun fondamento progettuale stabile come premessa, non potrà che portare al fallimento della propria supposta autorevolezza e al naufragio degli obiettivi finali (veri o presunti che fossero). Ciò vale in ogni ambito dell’agire umano, dove non ci si può inventare una “strada universale” senza aver ben chiaro ciò che si intende perseguire, con cognizione di causa. A maggior ragione nella scuola.
In tanti, tuttavia, sembrano voler porre la propria firma accanto a questo misterioso “oggetto culturale” e la scuola stessa viene sempre più spesso utilizzata, ahimè, come vile strumento di propaganda. Il tema è tutt’altro che secondario e diventa ancor più grave se alla volontà di appendere la propria bandierina a questo importantissimo Ministero, si assiste al persistere e al dilagare di antichi stereotipi circa il lavoro del docente, percepito ancora come un privilegiato con la fortuna di “svolgere un lavoro poco faticoso”.
Sebbene a simili affermazioni sarebbe giusto non dare risalto alcuno, bisogna però scontrarsi col fatto che il silenzio, spesso, non è la migliore risposta alle grida, a cui si potrebbe rispondere, invece, con ferma e pacata analisi. In questa sede, per ragioni di spazio, non si intende perseguire appieno questa via, ma una parola in difesa del nostro corpo insegnanti è certamente doverosa, perché lavorare in condizioni precarie (con le classi pollaio che rispecchiano appieno il modello di allevamento intensivo della grande industria e del mercato moderno), sminuiti, derisi, maltrattati, malpagati e per nulla (o quasi) considerati, non è assolutamente la premessa migliore per evitare esaurimenti nervosi ed incentivare il lavoro.
Se non si interviene sin da subito a modificare radicalmente questo “trend di pensiero” contorto e malato (che parte ben prima della primaria e arriva persino oltre le cosiddette “superiori”), ci si troverà ad affrontare nuovi ed inquietanti scenari a cui non eravamo nemmeno più abituati. Se si insiste a voler delegittimare ad ogni costo il ruolo e il compito dell’insegnante, cosa rimarrà? Se si persevera nel voler etichettare il luogo scolastico come mero contenitore di corpi senza stimolo, quale futuro potremo mai avere?
La scuola, infatti, è volano del progresso economico e culturale di un Paese, fornace dei cittadini democratici del futuro, unica via per contrastare un problema culturale che vede, appunto, gli insegnanti come personaggi “inutili”, secondari. Vengono loro tolte prerogative ed autorità, facendoli diventare vittime di un sistema che dovrebbe, invece, tutelarli e metterli nelle migliori condizioni possibili per poter svolgere il proprio lavoro.
L’importanza della scuola, infatti, non dovrebbe nemmeno essere oggetto di dibattito e la manipolazione mentale voluta, fra gli altri, dal regime fascista non fa che confermare il ruolo di controllo che proprio questa istituzione può garantire. Così, nei giorni in cui vengono celebrati gli 80 anni dalla Liberazione di Predappio, Forlimpopoli e tante altre città romagnole, sottolineare come la propaganda sia entrata, in un modo o nell’altro, nella “politica dell’odio” è atto tanto necessario quanto doveroso.
Non possiamo più accettare che ancora, dopo anni di facili proclami, il Ministro di turno passeggi sulle riforme scolastiche puntando qualche bandierina qua e là, lasciando il proprio nome accanto a qualche proposta che sradica le linee guida precedenti. Serve un patto per la scuola che coinvolga tutte le forze politiche, locali e sociali, ma il problema è proprio che sembra non esistere alcuna progettazione e ogni personaggio del momento pensa solamente al “qui ed ora”, a ciò che potrebbe (forse) favorirlo nell’immediato di una Legislatura che probabilmente, durerà al massimo un anno (vedendo gli standard italici), fino alla prossima (contro) riforma.
Ma così non va, non può andare. Non è possibile e non è accettabile che non si vada oltre “il proprio naso” per immaginare il futuro di giovani, insegnanti e famiglie. Servono coraggio e lungimiranza, serve chiarezza verso i cittadini e un tavolo condiviso in cui discutere delle promesse e delle proposte avanzate, che non devono pensare ai prossimi dieci giorni, ma ai prossimi dieci anni di sviluppo scolastico. Perché andare avanti a colpi di rimpasti e riforme non è più sostenibile.
Senza scuola cosa ci rimane da lasciare in eredità alle prossime generazioni? Probabilmente, soltanto un enorme vuoto culturale da cui sarà molto difficile, se non proprio impossibile, riuscire a tornare indietro.
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